L’infodump: il famigerato “spiegone”

Ripropongo qui un mio vecchio articolo pubblicato in precedenza su Storie di Storia ma che trovo interessante anche in questa sede, tra le mie riflessioni sparse.
Il motto “forse che si, forse che no” si trova nella Sala del Labirinto nel palazzo ducale di Mantova, per la precisione su di un soffitto ligneo che riproduce un labirinto dorato su sfondo azzurro. I percorsi enigmatici del labirinto con le scelte dagli esiti concatenati mi hanno fatto pensare ai dubbi che assalgono l’autore quando vuole inserire delle informazioni nel romanzo che sta scrivendo. Queste informazioni talvolta sono imprescindibili per la comprensione del testo, talaltra invece possono essere del tutto secondarie alla storia, assumendo così più un carattere “decorativo” del tutto.
Qualsiasi siano le motivazioni che hanno portato l’autore a introdurre determinate nozioni aggiuntive nel racconto, tutto ciò che non viene percepito dal lettore come naturale svolgimento della storia ma, al contrario, come inutile forzatura, viene denominato infodump. Questo termine dalla connotazione prettamente dispregiativa (il suo significato letterale è infatti “informazione spazzatura”) viene usato per indicare tutte le informazioni inutili o eccessive, prive di attinenza stretta con la scena in atto e che quindi soffocano il flusso narrativo di una storia. Annoiano il lettore nel migliore dei casi, stridono come un vecchio vagone in frenata in tutti gli altri.
Fornire informazioni, in realtà, non è affatto sbagliato o da demonizzare. Il vero problema è quando vengono date in maniera maldestra, con il risultato di far cadere le braccia al lettore.
E qui veniamo al punto: il vero busillis non è COSA o QUANTO si vuole raccontare al lettore, ma COME lo si fa.
Vorrei quindi fare un esempio in cui un autore, in merito a un ipotetico Castello di Vattelapesca, voglia a tutti i costi raccontare al lettore che:
- il castello è stato fatto costruire dal conte Pinco Pallino oltre un secolo prima
- le sue mura servivano per difendersi dagli assalti dei Predators
- il castello è andato in rovina fino a quando non è stato acquistato dalla marchesa Del Piffero
- la suddetta marchesa l’ha ricostruito in tempi record
- e se la fa con il Cavaliere Nero (pizzico di gossip)
Vediamo i diversi modi in cui il nostro autore usa cimentarsi nell’impresa.
1) Il metodo “Matrix“

Questo metodo è usato soprattutto dai giovani esordienti che, affascinati dai fermo-immagine a 360 gradi del celebre film, ritengono fattibile e normale poter spezzare un’azione drammatica infilandoci dentro infinite riflessioni del protagonista, flashback (che tanto flash non sono) e la storia dei 14 regni e 72 guerre che hanno portato il personaggio lì in quel momento.
Nel nostro esempio:
Gianni correva a perdifiato giù dal pendio cercando di proteggersi con le mani dai bassi rami che continuavano a schiaffeggiargli il volto. Il Cavaliere Nero gli stava alle calcagna ma il ragazzo sperava di averlo ingannato guadando quel piccolo torrente. Si fermò ansimante con le mani sulle ginocchia e gli occhi fissi davanti a sé: lì, sul picco roccioso oltre la valle, si stagliava la cupa sagoma del Castello di Vattelapesca. Vattelapesca! Sì, Gianni ricordava come fosse ieri quando, da bambino, sfuggiva alla sorveglianza della nonna per andare a giocare tra le mura diroccate del castello fatto costruire da Pinco Pallino. Oltre un secolo prima il conte lo aveva eretto per proteggersi dai Predators. Quante scalate aveva fatto con gli amici su quei bastioni pericolanti! Ma ora la marchesa Del Piffero ne era proprietaria e lo aveva fatto ricostruire totalmente in tempi brevi. Che fosse vera la diceria che era l’amante del Cavaliere Ne…
La testa rotolante di Gianni, raggiunto dal suddetto Cavaliere Nero, pose fine alle sue riflessioni.
Decisamente il perfido Cavaliere Nero, che sta braccando Gianni, non ha tempo e intenzione di aspettare che questo termini le sue elucubrazioni. Scena drammatica: pipponi=no buoni.
2) Il metodo “Muaahahahahaha”

Questo metodo (che in realtà ha il nome tecnico di villain speech) lo chiamo in questo modo per fare il verso alla tipica risata del cattivo di turno. Questi, dipinto molto spesso come irrimediabilmente stupido, anziché eliminare il suo opponente non appena riesce ad agguantarlo, gli svela fatti, progetti, Piani del Male e chi più ne ha più ne metta. Questo atteggiamento non solo darà inevitabilmente il tempo materiale al nostro eroe di mettersi in salvo, ma gli fornirà in aggiunta le informazioni necessarie a sconfiggerlo.
A mio avviso è il peggior tipo di infodump in assoluto, perché se può trovare una certa sua ragione d’essere in alcuni filoni di fumettistica o cinematografia, ha decisamente meno appeal nella narrativa che vuole essere di un certo spessore.
Nel nostro esempio:
Gianni urlava invocando aiuto. Batteva i pugni contro il portone del Castello di Vattelapesca ma la guardia, anziché aprirgli una via di salvezza, si limitò a scoccargli una truce occhiata e chiudere lo spioncino. La risata del Cavaliere Nero risuonò terribile alle spalle del giovane che, con orrore, comprese di non avere più scampo. Si girò verso l’uomo vestito di nero che, dall’alto della sua cavalcatura (nera, of course) gli puntava una picca alla gola.
«Sei finito, Gianni!» gongolò il Cavaliere con la voce distorta dall’elmo (nero).
Vinto, il ragazzo si lasciò scivolare con la schiena contro la ruvida superficie del portone.
«Sei un povero illuso se pensavi di avere protezione al castello di Vattelapesca» infierì l’oscuro cavaliere. «Sono stato io a spingerti fin qui perché volevo tu cadessi nella mia trappola, e sai perché?»
Gianni, accasciandosi, aveva urtato contro qualcosa di appuntito. «Dimmelo tu» esortò l’avversario a proseguire mentre, con un movimento discreto, le sue dita afferravano una roccia delle dimensioni di un pugno.
«Il castello di Vattelapesca appartiene alla marchesa Del Piffero, la mia amante!» il Cavaliere Nero si produsse in un’altra oscena risata. «È stata lei a far ricostruire queste mura, con maestria e rapidità, dopo che aveva acquistato le rovine dell’antico castello di Pinco Pallino. Più di un secolo fa, capisci! Cent’anni a baluardo contro i nemici Pred…»
Un rumore sordo di ferraglia accompagnò la rovinosa caduta di sella del Cavaliere Nero, colpito in fronte dalla decisa sassata di Gianni.
Se si sta a gongolare come un idiota e fare teatrini, è il minimo che possa capitare. Non c’è nulla di peggio di un personaggio fondamentale, quale è l’antagonista, che diventa la macchietta di se stesso.
3) Il metodo “Novizio”

Variante “As you know, Bob”. Metodo usato in larga misura: è sufficiente affiancare al protagonista un altro personaggio, il classico “novizio” che non sa nulla della situazione, per potersi lanciare in lunghe dissertazioni su come funzioni tutta la faccenda. Nel caso il coprotagonista sia già al corrente dei fatti ma non lo sia il lettore, viene usata la forma “Come ben sai, …”. In entrambi i casi si corre il rischio di cadere in noiosissimi monologhi oppure in dialoghi ridicoli che ben poco rispecchiano la realtà. Peggio ancora quando si dà l’impressione di essere dei “professorini” che impartiscono lezioni.
Nel nostro esempio:
Fra Gianni tirò le redini e arrestò il cavallo. Si girò quindi verso l’allievo Pinotto e lo richiamò con un cenno. L’adolescente, che lo seguiva a dorso di mulo, gli si affiancò e seguì con lo sguardo il dito del maestro che gli indicava le imponenti mura, oltre il villaggio.
«Eccoci arrivati al Castello di Vattelapesca, Pinotto» cominciò Fra Gianni. «Devi sapere che… bla bla bla»
Pinotto, annoiato e immerso nel proprio boom ormonale, lanciava nel frattempo furtive occhiate alle scollature delle popolane dirette al mercato, annuendo distrattamente di tanto in tanto al suo mentore.
Sbadigli. Solo sbadigli. Se si sta leggendo a letto, prima di dormire, è il momento di riporre il libro e farlo.
4) Il metodo “Gandalf”

Altresì detto “Uno stregone non è mai in ritardo, né in anticipo. Arriva precisamente quando intende farlo”. È questo il metodo migliore, ossia l’unico che riesca ad armonizzare tempistiche, informazioni e logica all’interno del flusso narrativo. Consiste nell’introdurre tutte le informazioni che si desiderano senza spezzare azioni e inserendole in modo naturale. Avvenimenti e dialoghi non devono annoiare il lettore o risultare artificiosi. Per quanto riguarda i soliti cinque punti da inserire nel nostro esempio:
Pinotto si grattò il capo, lo sguardo che spaziava fino alla cima delle mura davanti a lui che sembravano sparire verso il cielo. Emise un sonoro fischio di ammirazione. «Questa si che è una fortezza. Avrebbe resistito anche ai Predators di un secolo fa.»
Gianni lo oltrepassò e arrestò la cavalcatura davanti a un bastione alla cui base si riconoscevano a stento le antiche pietre della precedente costruzione. «Sì, e lo ha fatto, ma ormai non resta più nulla del vecchio castello del conte Pinco Pallino. Il che è sorprendente se si pensa che questo nuovo è stato costruito in soli due anni.»
«Due anni?» Pinotto inarcò un sopracciglio e spronò il cavallo per affiancare il compagno. «Mi stai prendendo in giro?»
Il Castello di Vattelapesca appariva come un edificio imponente, non certo qualcosa che si potesse erigere tanto alla svelta.
«Niente affatto» ribatté Gianni, con una smorfia. «Dicono che la stessa marchesa Del Piffero si aggirasse sbraitando tra gli operai, spronandoli a suon di promesse d’oro e minacce di frusta perché si sbrigassero, quasi avesse tutti i diavoli dell’inferno alle costole.»
Anche se l’unico demonio che infesta queste terre è quello che lei accoglie nel suo letto ogni notte.
Ma l’ultimo pensiero non osò dirglielo. Lo sguardo dell’amico stava vagando su alcuni contadini emaciati che tentavano di dissodare un terreno ricco solo di rocce. La desolazione si ostinava a dominare le terre attorno al castello come quando erano state invase da quei stramaledetti alieni.
«Andiamo» concluse, agitandosi sulla sella. «Non mi piace questo posto.»
Pinotto annuì, e incitò il cavallo a proseguire lungo il sentiero.
Un fugace brivido scosse Gianni mentre allentava le briglie per seguire l’amico, quasi avvertisse gli occhi del Cavaliere Nero piantati sulla sua schiena.